Commento dell’Avv. Luigi Cesaro
Attraverso le sentenze del 26/09/2019, n. 63, sez. V e del 27/11/2019, n. 402, sez. V, la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata sulla compatibilità tra la normativa europea e la disciplina italiana in tema di subappalto.
L’ordinamento interno, infatti, limita fortemente il ricorso al subappalto, da sempre ritenuto in grado di favorire l’infiltrazione della criminalità organizzata nelle commesse pubbliche.
In particolare, i giudici italiani – nell’ambito di controversie nelle quali era emerso il superamento della soglia massima subappaltabile – hanno rimesso alla Corte Europea la valutazione di compatibilità con le direttive europee della normativa italiana di cui all’art. 118 del d.lgs. 163/2006 che prevede il ricorso al subappalto con il limite del 30% sul valore complessivo del contratto, nonchè di quella successiva, dettata dall’art. 105 d.lgs. 50/2016, che ha incrementato detto limite al 40%.
Inoltre, i giudici interni hanno richiesto una valutazione sulla compatibilità comunitaria della regola dettata dall’art. 118, comma 4, d.lgs. n. 163/2006, secondo cui l’affidatario deve praticare, per le prestazioni subappaltate, gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione, con un ribasso non superiore il 20%.
Ebbene, i Giudici Europei hanno ritenuto che entrambe le previsioni fossero in contrasto con quanto previsto negli art. 49 e 56 TFUE, oltre che nelle specifiche direttive dedicate alla materia degli appalti pubblici (direttiva 2004/18 e direttiva 2014/24).
La CGUE, pur ritenendo che sia certamente legittimo, per uno Stato membro, introdurre restrizioni volte a contrastare l’ingresso della criminalità organizzata negli appalti pubblici, ha valutato che i limiti previsti dalla disciplina italiana non siano proporzionati rispetto all’obiettivo perseguito.
In particolare, la Corte Europea ha ritenuto che la previsione di un limite astratto e generalizzato di ricorso al subappalto, a prescindere dalla verifica in concreto dell’identità dei subappaltatori, della natura dell’appalto e del settore economico interessato, sia in contrasto con la direttiva 2004/18.
Risultano infatti compromessi sia il principio di massima concorrenza (stabilito a vantaggio non solo delle imprese ma anche dell’amministrazione aggiudicatrice), che l’intento di favorire la più ampia partecipazione alle gare delle piccole e medie imprese.
Tale conclusione, secondo la CGUE, non sarebbe scalfita dall’argomentazione secondo cui la previsione di un limite massimo alle opere subappaltabili renderebbe meno appetibile la partecipazione alle gare di organizzazioni criminali, e pertanto, costituirebbe, viste le particolari circostanze che caratterizzano l’ordinamento italiano, una misura di prevenzione e contrasto alle infiltrazioni mafiose negli appalti.
Ad avviso della Corte Europea, infatti, il contrasto alla criminalità organizzata può e deve essere operato con misure concrete e non astratte, alcune peraltro già previste dalla normativa italiana, finalizzate espressamente a impedire l’accesso alle gare d’appalto pubbliche alle imprese sospettate di appartenenza mafiosa o di essere comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese.
Ad esempio, tra queste misure, si suggerisce l’approccio consistente nell’obbligare l’offerente a fornire nella fase dell’offerta le identità degli eventuali subappaltatori, al fine di consentire all’amministrazione aggiudicatrice di effettuare verifiche nei confronti dei subappaltatori proposti, perlomeno nel caso degli appalti che si ritiene rappresentino un maggior rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata.
Anche il limite del 20% del ribasso che l’affidatario può praticare sulle prestazioni subappaltate, è stato ritenuto dalla Corte europea assolutamente in contrasto con la normativa europea.
Si è osservato, al riguardo, come tale limite – previsto a pena di esclusione – sia definito in modo generale ed astratto e si applichi a prescindere dal settore economico interessato, ed indipendentemente da qualsiasi verifica della sua effettiva necessità, nel caso di un dato appalto, al fine di assicurare ai lavoratori di un subappaltatore interessati una tutela salariale minima.
Tale normativa – ad avviso della CGUE – produce l’effetto di disincentivare il ricorso al subappalto da parte degli operatori economici, dal momento che limita l’eventuale vantaggio concorrenziale in termini di costi che i lavoratori impiegati nel contesto di un subappalto presentano per le imprese che intendono avvalersi di detta possibilità.
Ebbene, un tale effetto dissuasivo contrasta con l’obiettivo, perseguito dalle direttive in materia di apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile e, in particolare, di accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
Si è altresì osservato che il suddetto limite del 20% non risulta neppure giustificato o proporzionato rispetto agli obiettivi perseguiti dal Legislatore italiano.
Non lo è rispetto all’esigenza di tutelare i lavoratori dei subappaltatori, poiché tale limite – come detto – si applica indipendentemente da qualsiasi considerazione della tutela sociale garantita dalle leggi, dai regolamenti e dai contratti collettivi applicabili ai lavoratori interessati, e quindi non lascia spazio ad una valutazione caso per caso da parte dell’amministrazione aggiudicatrice.
Il limite in parola risulta sproporzionato pure in relazione all’interesse a garantire una redditività dell’offerta e alla corretta esecuzione dell’appalto.
Ad avviso della Corte europea, difatti, vi sarebbero altre misure meno restrittive in grado di assicurare tale obiettivo, tra le quali:
- richiedere che gli offerenti indichino, nella loro offerta, la quota parte dell’appalto e i lavori che essi hanno intenzione di subappaltare e l’identità dei subappaltatori proposti;
- prevedere la possibilità, per l’ente aggiudicatore, di vietare agli offerenti di sostituire subappaltatori se tale ente non abbia potuto verificare previamente l’identità, la capacità e l’affidabilità dei nuovi subappaltatori proposti;
- l’applicazione delle norme sulle offerte anormalmente basse.
Infine, si è osservato che il limite del 20% non risulta coerente con il principio di parità di trattamento tra operatori economici che, nella prospettiva del diritto italiano, imporrebbe di evitare che l’appaltatore possa aumentare il proprio profitto risparmiando sui costi, tra i quali quelli dei subappaltatori.
Ebbene, ad avviso della Corte, la mera circostanza che un offerente sia in grado di limitare i propri costi in ragione dei prezzi che egli negozia con i subappaltatori non è di per sé tale da violare il principio della parità di trattamento, ma contribuisce piuttosto a una concorrenza rafforzata e quindi all’obiettivo perseguito dalle direttive adottate in materia di appalti pubblici.
Le conclusioni cui perviene la Corte di Giustizia, seppur astrattamente coerenti con gli obiettivi dettati dalle direttive comunitarie, appaiono alquanto discutibili sul piano pratico, poiché si rivelano del tutto avulse dal contesto sociale ed economico italiano che hanno ispirato le norme nazionali.
Se, infatti, nell’esperienza italiana, il limite al subappalto non si è rivelato certo un effettivo deterrente per le organizzazioni criminose, è anche vero che esso comunque delimita notevolmente l’impatto che un eventuale infiltrazione criminale può avere sull’esito di una commessa pubblica, e quindi salvaguarda l’interesse pubblico, obiettivo non meno importante nelle gare di quello concorrenziale.
Anche la regola del ribasso massimo del 20% sulle opere subappaltate, risponde chiaramente alla logica di evitare i sempre frequenti abusi dell’appaltatore nei confronti del subappaltatore e che, quindi, questo venga costretto ad eseguire opere a prezzi notevolmente inferiori a quelli di mercato.
In effetti, occorre sottolineare che la Corte di Giustizia non critica i limiti del subappalto previsti dal diritto italiano, bensì il fatto che vengano applicati astrattamente e genericamente, ossia senza operare un controllo caso per caso, o in base alla tipologia di appalto e alla natura delle prestazioni.
Dunque, è auspicabile che il Legislatore italiano, chiamato a riformare la disciplina del subappalto, tenga in debita considerazione ciò, ossia il fatto che il limite al subappalto non è di per sé contrario alla concorrenza e alle direttive comunitarie, a condizione che sia giustificato da specifiche e concrete esigenze.
Si auspica pertanto che tale intervento legislativo possa intervenire quanto prima così da fornire agli operatori del settore un quadro normativo chiaro poiché, come segnalato dall’ANAC in recenti comunicati, non può essere demandato alle amministrazioni aggiudicatrici il compito di stabilire, volta per volta, come adeguare in concreto la normativa del subappalto ai principi affermati dalla Corte di Giustizia.